Il cap. 10 racconta la missione dei Dodici e riporta insegnamenti di Gesù, qui raccolti da Matteo come compendio e appendice all’invio dei missionari. Possiamo intuire che si tratti di parole pronunciate in un tempo diverso da quello della narrazione perché Marco e Luca li riportano altrove. Comunque, per comprendere questi versetti, è necessario leggere il contesto in cui sono inseriti: i discepoli sono stati inviati come “pecore in mezzo ai lupi” (v. 16), affinché sia annunciato e “accolto” il Vangelo (v. 40). Alcune parole chiave:
- Paura della morte. Per tre volte i Dodici sono esortati a non temere (vv. 26.28.31). Fondamentalmente ciò che spaventa è la morte. Morte intesa in senso fisico e morale. La morte fisica è l’esperienza che chiude la vita terrena e spaventa per l’irreversibilità del momento. Non si può tornare indietro. La morte morale è la conseguenza delle persecuzioni per cui si teme di essere rifiutati, di non avere accoglienza, di non essere riconosciuti: non essere amati così come si è.
- Cose nascoste e cose svelate. Il mistero nascosto nei secoli è la sapienza di Dio (1Cor 2,8-10) che è Gesù (11,19), anche se non è stata riconosciuta dai dotti e sapienti di questo mondo (11,25). C’è un gioco linguistico di opposti che contrappone due polarità: ignoto e palese. Nascosta è la sapienza di Dio, inaccessibile senza la rivelazione: Gesù toglie il velo e ci narra il Padre (Gv 1,18), Egli è l’Emanuele/Dio-con-noi (Mt 1,23; 28,20). Tenebre e orecchio è il linguaggio riservato ai discepoli. Essi hanno ricevuto il mistero del regno donato agli altri in parabole (Mc 4,11) e ne diventano mediatori con la vita (non funzionari). Il rapporto intimo e speciale che hanno con Gesù devono testimoniarlo al mondo. Possiamo commentare questa Scrittura con 1Pt 3 “ferventi nel bene”. Pietro rammenta che la speranza del cristiano è più forte del rifiuto del pagano. La dolcezza e la mitezza testimoniano l’amore a Colui che mantiene nella vita, più grande del timore di coloro che uccidono il corpo.
- Oltre il paradosso. Piccoli paradossi continuano la meditazione. C’è chi uccide il corpo, ma solo Dio ha potere sull’anima. Cosa vale di più? L’insignificanza dei passeri e la caducità dei capelli è nulla davanti alla grandezza del creato o la solidità del corpo; eppure lo sguardo di Dio si poggia amorevole anche dove l’occhio umano vede inutilità.
Qual è l’insegnamento di questi versetti? Il paradosso per cui ciò che è piccolo non abbia per Dio meno valore di ciò che è grande, ricorda la verità dell’essere figli: sulle mani di Dio siamo tutti disegnati, non dimentica nessuno (Is 49,15-16). Il mondo, il demonio e la carne abbagliano e confondono, occludendo la vista alla bellezza dei doni di Dio. Così siamo tentati da rapporti di dominio e sfruttamento e i fratelli sono mezzi per il proprio interesse, i deboli un inciampo per il progresso. Per il Padre non è così. Non temere la morte e annunciare il regno, allora, non è l’antidolorifico di chi fa finta di non vedere violenza e scandali, ma l’energia di chi ha scelto il Paradiso e si impegna per rimuovere le ingiustizie (Is 2,4//Mi 4,3) e portare la pace (10,13).
Paralleli e approfondimenti
- Paralleli in Mc 4,22 e Lc 12,2-9