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Commento alla Sacra Scrittura con la piccolezza di un'ape che si avvicina al fiore


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Isaia 52-53

Quarto canto del servo

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    Quarto canto del servo. Divido la riflessione secondo le voci che si alternano per gustare più profondamente la passione qui comunicataci dal Signore. Le voci: Dio in apertura (52,13-15) e chiusura (53,11-12); un noi comunitario al centro (52,1-10).

    • Dio guarda il suo servo. Le parole del Signore sono una promessa di bene per il servo e l’umanità è chiamata a riconoscere la salvezza operata da Dio per lui e attraverso lui. La salvezza non è esenzione dal dolore, ma vittoria sul male e sulla morte che gli empi hanno inflitto al giusto (53,11-12). Quando il profeta pronunciò queste parole, probabilmente molti avranno letto in quella del servo la propria sofferenza: il male e il dolore che schiacciano fino a far sentire vicina la morte, la vergogna colpevole o incolpevole che fa perdere il volto, l’essere spogliati di ogni dignità a causa della malizia altrui. I primi autori cristiani (particolarmente gli evangelisti) hanno riconosciuto in questa Parola la sofferenza di Gesù. Egli è il servo totalmente dedito al Padre (Lc 2,49; Gv 5,43; 10,25; 14,31) che ha detto le cose del cielo (Sap 9,16; Gv 3,12) mai intese o udite da alcuno (Gv 9,32; Rm 15,21; Ef 3,9; Col 1,26). I re che chiudono la bocca a se stessi è la fine dell’arroganza davanti a Dio, unico Re (1Sam 8; Gv 18,37), che svela la malizia del cuore (1Cr 28,9; Est 4,17d; Ger 17,10), fa fare la verità e offre misericordia.
    • Il popolo riconosce il proprio male. In 53,1-10 il noi comunitario risponde a Dio esprimendo sgomento per le umiliazioni subite dal servo, ridotto a mite agnello sacrificale per il male di tutti. Questo noi è l’assemblea dei re e delle nazioni di 52,15, ma anche la comunità che ha incontrato il servo direttamente, perciò in qualche modo i credenti di ogni tempo. In 53,8 il noi diventa io, segno che il male riconosciuto chiama in causa la responsabilità personale perché le sue cause siano rimosse. Le immagini che descrivono la sofferenza patita sono crude e forti, tipiche di un testimone oculare: non c’è bellezza nel volto sfigurato (53,2), ripugna tanto da non volerlo guardare (v. 3), è considerato abbandonato da Dio (v. 4), non oppone resistenza (v. 7), nessuno piange per lui (v. 8), subisce ogni dolore e muore (vv. 8-9), vittima della menzogna e dell’ingiustizia (v. 8). L’interruzione della sua vita è anche la morte dei suoi posteri prima ancora che questi potessero nascere (v. 8). Questo richiama la verità già espressa in Gen 4,10 dove il sangue di Abele è detto al plurale («la voce dei sangui di tuo fratello grida a me dal suolo») perché in lui è stata uccisa tutta la sua possibile posterità. La vita è stata recisa per sempre (Lam 3,54). La svolta della vita è dunque nell’amore, come insegnava Madre Teresa: “Chi salva un bambino, salva il mondo intero”. In queste righe sembra di leggere il racconto della passione di Gesù.
    • La sofferenza che porta salvezza. Non esiste un senso logico alla sofferenza, soprattutto quella innocente. Sebbene molti si cimentino nel raccogliere parole, spiegazioni e giustificazioni, la sofferenza non ha alcun senso logico in se stessa, perché non è vitalità che possa aggiungersi al vivere ed essere intesa perciò come benedizione. Infatti, la natura umana da sempre la interpreta come ingiusta, insopportabile e mortifera. Il servo del Signore eppure accetta di caricare su di sé il peso del male che sembra dominare il mondo: è giusto, ma odiato (Sap 2); è buono, ma perseguitato (Sal 22); è uomo, ma disprezzato come animale da macello. Che senso ha questa sofferenza?
    • La sofferenza di Cristo dà senso nuovo nell’amore. Solo in Cristo si comprende pienamente come la maledizione possa essere trasformata in benedizione e come la morte possa diventare aurora di vita. Credo che 53,5-6 sia il nostro punto di svolta. Il male e il peccato dominano il mondo facendo perdere la grazia donata ai figli di Dio. Vittima della malizia del maligno, l’uomo che segue solo il proprio cuore e il proprio orgoglio diventa come pecora dispersa che vaga per il mondo in cerca di un appagamento. Quando l’appagamento non è nell’amore al prossimo e a Dio, ma in un amore malato per se stessi, ogni mezzo per dominare diventa desiderabile e causa dolore e morte. Cristo fa fare la verità al nostro cuore che contempla la sua sofferenza e ci mostra una sofferenza che possa aver senso: l’amore che si carica del peso dell’altro, per portarlo insieme e far crescere l’amore e la grazia di Dio. Il profeta Isaia canta in questa ode che per amore si può scegliere di portare su se stessi la sofferenza che schiaccia un altro fratello. Così fa Cristo per tutti donando la sua vita. Per noi, separati da Dio Padre a causa del peccato e dell’orgoglio, egli carica su di sé tutte le contraddizioni e le malvagità, subendo nella sua carne il dolore della separazione da Dio nell’esperienza tragica della persecuzione e della morte. La fedeltà del Padre, infine, gli dona una vittoria d’amore sui popoli e le moltitudini ora chiamati a conversione (53,12).

    Quando guardo la sofferenza di mio fratello e di mia sorella e scelgo di caricare su di me un pezzo del loro dolore, io sono il profeta del Signore e sono compagno di Cristo e suo testimone. Se io posso vivere come benedizione il poco breve che è la mia vita terrena, quanto ancora più grande è la grazia della morte redentrice di Cristo. La grazia poi è la comunione con Dio per mezzo della povertà di Gesù offerta per me: «Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2Cor 8,9).

    Paralleli e approfondimenti

    52,13-15

    13Ecco, il mio servo avrà successo,
    sarà onorato, esaltato e innalzato grandemente.

    14Come molti si stupirono di lui
    - tanto era sfigurato per essere d'uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell'uomo -,

    15così si meraviglieranno di lui molte nazioni;
    i re davanti a lui si chiuderanno la bocca,
    poiché vedranno un fatto mai a essi raccontato
    e comprenderanno ciò che mai avevano udito.

    53,1-12

    1 Chi avrebbe creduto al nostro annuncio?
    A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore?
    2È cresciuto come un virgulto davanti a lui
    e come una radice in terra arida.
    Non ha apparenza né bellezza
    per attirare i nostri sguardi,
    non splendore per poterci piacere.
    3Disprezzato e reietto dagli uomini,
    uomo dei dolori che ben conosce il patire,
    come uno davanti al quale ci si copre la faccia;
    era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima.
    4Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze,
    si è addossato i nostri dolori;
    e noi lo giudicavamo castigato,
    percosso da Dio e umiliato.
    5Egli è stato trafitto per le nostre colpe,
    schiacciato per le nostre iniquità.
    Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui;
    per le sue piaghe noi siamo stati guariti.
    6Noi tutti eravamo sperduti come un gregge,
    ognuno di noi seguiva la sua strada;
    il Signore fece ricadere su di lui
    l'iniquità di noi tutti.
    7Maltrattato, si lasciò umiliare
    e non aprì la sua bocca;
    era come agnello condotto al macello,
    come pecora muta di fronte ai suoi tosatori,
    e non aprì la sua bocca.
    8Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo;
    chi si affligge per la sua posterità?
    Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi,
    per la colpa del mio popolo fu percosso a morte.
    9Gli si diede sepoltura con gli empi,
    con il ricco fu il suo tumulo,
    sebbene non avesse commesso violenza
    né vi fosse inganno nella sua bocca.
    10Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori.
    Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione,
    vedrà una discendenza, vivrà a lungo,
    si compirà per mezzo suo la volontà del Signore.
    11Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce
    e si sazierà della sua conoscenza;
    il giusto mio servo giustificherà molti,
    egli si addosserà le loro iniquità.
    12Perciò io gli darò in premio le moltitudini,
    dei potenti egli farà bottino,
    perché ha spogliato se stesso fino alla morte
    ed è stato annoverato fra gli empi,
    mentre egli portava il peccato di molti
    e intercedeva per i colpevoli.

    © Testo a cura della CEI consultabile su bibbiaedu

    Paralleli e rimandi:
    Gen 4,10 | 1Sam 8 | 1Cr 28,9 | Est 4,17d | Sal 22 | Sap 2; 9,16 | Ger 17,10 | Lam 3,54 | Mt 26-27 | Mc 14-15 | Lc 1,46-55; 2,49; 22-23 | Gv 3,12; 5,43; 9,32; 10,25; 14,31; 18-19; 18,37 | Rm 15,21 | 2Cor 8,9 | Ef 3,9 | Col 1,26

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    Quando si usa nella preghiera questo testo?

    TAG DI RIFLESSIONE E COMMENTO

    Nella liturgia questo brano profetico lo troviamo:

    Nel Breviario

    • ...

    In altri riti:

    • ...

    • Isaia
    • Servo del Signore
    • Canto del servo
    • Sofferenza
    • Ingiustizia
    • Sopportazione
    • Salvezza
    • Piaghe
    • Amore
    • Passione

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