Commento alla Sacra Scrittura con la piccolezza di un'ape che si avvicina al fiore
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Questo discorso (14,1+) è l’addio di Gesù ai suoi, iniziato nel capitolo precedente, dopo l’uscita di Giuda dal consesso dell’ultima cena (13,31).
Alle domande di Tommaso e Filippo segue l’invito finale di Gesù: mantenere salda la fede, nutrendola del rapporto con lui e con il Padre, come lui stesso ha mostrato ai suoi. Anch’essi riceveranno lo Spirito Santo (14,16) e saranno fortificati e consolati.
Il v. 12 si apre con il doppio “Amen” (in verità), apertura per una dichiarazione solenne: credere in lui è salvezza, garanzia ed è tutto il vivere.
Quando l’evangelista scrive che le opere saranno più grandi di quelle di Gesù non intende opere materiali come se ci possa essere un più di Gesù. Lui solo è nel Padre e il Padre in lui e i discepoli devono entrare in questa dinamica di comunione. La comunione poi è vera nei doni di grazia di Dio, ma piena solo dopo la morte fisica. A quale grandezza Gesù fa riferimento? Perché non dobbiamo intendere “cose più grandi” nel senso di gesta, magari come l’immaginazione cinematografica moderna può aiutarci a pensare?
La risposta è nel capitolo 13 nel segno della lavanda dei piedi. Dopo aver compiuto e insegnato questo, Gesù afferma che saranno veramente come lui se perpetueranno e vivranno il servizio reciproco d’amore. Infatti, “sapendo queste cose sarete beati se le metterete in pratica” (13,17). E così anche Paolo potrà insegnare che non le opere grandiose contraddistingueranno i veri credenti, ma l’amore (1Cor 13). L’immortal fede (la carità) secondo l’espressione il Manzoni, è solo l’amore. Infatti, si potrebbero conoscere tutte le lingue, i segreti e i misteri, convertire e “anche all’inferno far cristiani” (Francesco d’Assisi), ma senza la “perfetta letizia”, cioè la vita nutrita dall’amore, che segni di Cristo si potrebbe mai essere?
Ecco allora che l’insegnamento di Gesù è anzitutto sull’amore che lui insegna e che lui può donare come linfa vitale (come il tralcio dalla vite 15,8).
Chiedere nel suo nome. In At 2,38 Pietro incoraggia al Battesimo nel nome di Gesù. Molti gruppi giudaici praticavano il Battesimo ed essere battezzati nel nome di un gruppo significava aderire vitalmente a quell’ordine, pratica e credo. Il nome di Dio è invocato sui suoi figli (Ger 14,9) e questi devono sempre, come un allenamento, imparare a vivere guardano lui, pensando lui, respirando lui. Nel suo nome si impara a chiedere e ottenere nella preghiera. Ottenere è efficace non nel proprio nome e quindi assecondando gusti, desideri e vizi, ma nel nome di colui che per tutti è Padre. Ecco allora che Giacomo insegnerà che non ottenere non significa essere rifiutati, ma doverci ancora convertire (Gc 1,6; 4, 3). Gesù aveva insegnato così anche all’inizio: “chiedete e otterrete… il Padre darà cose buone a quelli che gliele chiedono!” (Mt 7,7-11), specialmente lo Spirito Santo (come leggiamo nei prossimi versetti).
Paralleli e approfondimenti
12 In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch'egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre. 13 E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. 14 Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò.
© Testo a cura della CEI consultabile su bibbiaedu
Nella liturgia questo brano evangelico lo troviamo:
Nel Breviario non troviamo questa pericope.
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