Romani 5,1-11 - Giustificati per fede
Siamo in pace con Dio perché è riversata in noi la grazia della vita divina per l’amore gratuito del Padre verso i figli. Il suo amore fonda la speranza e annuncia la riconciliazione
Continua...21A questo infatti siete stati chiamati, perché
anche Cristo patì per voi,
lasciandovi un esempio,
perché ne seguiate le orme:
22egli non commisepeccato
e non si trovò inganno sulla sua bocca;
23insultato, non rispondeva con insulti,
maltrattato, non minacciava vendetta,
ma si affidava a colui
che giudica con giustizia.
24Egli portò i nostri peccati nel suo corpo
sul legno della croce,
perché, non vivendo più per il peccato,
vivessimo per la giustizia;
dallesuepiaghe siete stati guariti.
25Eravate erranti come pecore,
ma ora siete stati ricondotti
al pastore e custode delle vostre anime.
Siamo nel cuore della prima lettera di Pietro. Dopo l’introduzione e l’invito a scoprirsi familiari con Dio, chiede di santificare Gesù nella propria vita (3,14).
L’inno che leggiamo in questi versetti è tra due sezioni della morale familiare (cap. 2-3). Questo, probabilmente preesistente e rimaneggiato, cita Isaia 53 ed una bellissima trama della cucitura tra AT e NT. Mi spiego. In 1Pt 2,18-19 Gesù è come un agnello e poco sopra abbiamo letto che Pietro si rivolge ai servi, esortandoli a dare buona testimonianza nella grazia di Dio. Nel Battesimo (Gv 1,29) Giovanni chiama Gesù “agnello di Dio” che tanto per lui, quanto per Isaia 53, è talya’ ovvero servo/agnello grazie al quale abbiamo la remissione dei peccati e la salvezza. Poiché Cristo non toglie la vita, ma la offre e la concede in abbondanza (Gv 10), allora egli è agnello/servo e veramente anche pastore e custode (vv. 25 // Gv 10).
Le parole del profeta rileggono inoltre l’esperienza di una sofferenza immeritata. Con questo inno è come se argomentasse e sostenesse le esortazioni espresse in precedenza, facendo un paragone tra la situazione dei cristiani di 11-20 con quelle partite da Gesù. Lui è il paziente e il sofferente a causa dell’ingiustizia, che diventa motivo e modello della sopportazione. Un significato di patire è “portare su di sé” ovvero sopportare con sforzo. Questo lo ha fatto Gesù portando su di sé: ingiurie, ferite e legno della croce (vv. 23-24).
L’obiettivo di Pietro non è comunque giustificare o cercare la sofferenza, ma la conversione di tutti attraverso una buona testimonianza. La testimonianza è vissuta nella pazienza. Leggo concretizzata in questi passi la vita di don Pino Puglisi, don Andrea Santoro, i martiri d’Algeria e molti cristiani tuttora perseguitati.
Propongo un piccolo schema per questi versetti:
Guardare il corpo martoriato di Gesù mi insegna come sia prezioso, bello e redento il mio e come questo possa essere luogo della sua santità riflessa nel discepolo (3,14; 1Cor 6,20).
Gesù chiede la pazienza? Le Beatitudini sono un sorriso di pazienza. In più: Matteo 16,24: “se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda (sollevi) la sua croce e mi segua” e “vi ho dato l’esempio perché come ho fatto io, facciate anche voi e… sarete beati” (Gv 13,15-17). “Solo Dio non muta, la pazienza ottiene ogni cosa” (la paciencia todo lo alcanza - Teresa d’Avila).
Paralleli e approfondimenti
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